xXx Getting Sweeter xXx
Prologo
La macchina faceva un odore di nuovo, sapete quell’odore inclassificabile che ha ogni auto acquistata di recente? Bhe l’odore era proprio quello. I costosi interni in pelle mi facevano sudare le cosce seminude, ma non mi importava.
In quell’istante erano solo due le cose che mi importavano: uno, che quella maledetta mano percorresse il più velocemente possibile il mio interno coscia; due, che semplicemente si sbrigasse a togliermi quel fottuto perizoma di dosso. Non era mai stato così scomodo ed indesiderato.
Il mio nome è Lily Jean Burton, e questa è la mia storia, se non vi va di ascoltarla potete pure cambiare pagina, perché di certo non è una favola che io racconterei ai miei figli per farli addormentare.Capitolo 1L’estate non mi era mai piaciuta poi così tanto, infondo l’unica cosa positiva di quella torrida stagione era la mancanza della scuola. – Ricordami ancora perché mi stai mandando a Berlino.- Ripetei a mia mamma che col suo solito stress continuava a prepararmi la valigia, che era spalancata sul mio letto, già piena di roba. – Non conosci affatto la mia famiglia, ne abbiamo già discusso … Non farmi tornare sugli stessi argomenti. Poi il tedesco è molto importante, e li a Berlino non starai mica sola. C’è Sebastian, il figlio di mia sorella. È un così caro ragazzo! Ti aiuterà a socializzare, e poi il tedesco è molto importante!- Ripose ancora tre o quattro felpe dentro l’enorme valigia rosa. – Ma il tedesco lo parlo già con te qui. Non vedo dove sia la novità.-
Sebastian, sarà uno sfigato cronico questo cugino. – Un anno lì non ti farà mica male, sai!- Da brava adolescente qual’ero avrei dovuto esserne felice, o avrei dovuto maledirla anche in turco. Ma io non feci nulla di questo. Da brava adolescente qual’ero cominciai a fregarmene. Voleva spedirmi in Germania un anno per non guardarmi in faccia? Non mi importava, avrei sicuramente riscontrato i lati positivi nella mia permanenza nella patria della birra. Ma francamente non mi importava più di tanto. Non mi affannavo a cercare di immaginarmi come sarebbe stato o cosa sarebbe accaduto, avrei preso tutto alla leggera e come capitava, come sempre d’altronde. – Allora, la biancheria sta in fondo verso la destra, poi ti ho dato qualche asciugamano anche se so che tua zia Jill ti darà sicuramente un kit nuovo e tutto rosa, ha sempre desiderato avere delle figlie femmine. Ma ha 2 figli. Sebastian e Bart che è il più piccolo.-
Che palle con questa storia di sua sorella Jill. –Dicevo? Ah, già. Poi qui ci sono i jeans, t’ho messo quelli stretti grigi chiari, quelli neri, quelli blu e un paio grigio scuro, poi per altre evenienze hai i contanti e la carta di credito. Qui le magliette. I calzini sono nel cestello a parte. – Bla bla bla.
Finalmente riuscii a liberarmi da mia madre, non so se considerarla uno scherzo del destino o la cosa più strana che mi sia capitata, anche se rileggendo c’è solo un’invisibile filo che separa le due cose.
-Quindi è vero che te ne vai?- Dal ciglio del mio vialetto con giardino il mio migliore amico mi guardava con degli occhi indecifrabili. Rimasi immobile, il cielo si oscurò improvvisamente, ma non del tutto, il sole si coprì solo parzialmente. Leo mi guardava dritta negli occhi. Ed io ero li immobile ad aspettare un rewind, perché sinceramente non ci stavo a capire un cazzo. Tutto era successo talmente in fretta. Mio padre, l’incidente, e poi mia madre e il suo nuovo compagno e la loro fottutissima privacy. Sapevo solo che il 15 Luglio alle 6.15 sarei dovuta partire per Berlino. L’unica informazione sicura, solo perché era cartacea. Ma del resto sapevo poco. Sapevo poco su quel che avrei dovuto fare li, sapevo poco su quello che avrebbe dovuto fare mia madre a casa. Fatto sta che Leo mi guardava ancora, ed io ricambiavo intensamente il suo sguardo, tanto da avvertire un fastidioso bruciore agli occhi. – Sì, mia madre fa sul serio. – Abbassai la testa e lasciai che la cascata dei miei capelli biondi e morbidi mi ricadesse sugli occhi. Leo intanto si era avvicinato a me. – Mi mancherai se è così. - Sentii che le sue mani scorrevano prima sui miei fianchi per poi incontrarsi sulla mia schiena. Appoggiò il mento sulla mia spalla, mentre io stavo li ferma e rigida come un’idiota con i capelli tutti davanti al viso. – Magari mi vieni a trovare. – Bisbigliai. – Magari ti vango a trovare, sì. - Cazzate, le solite cazzate che si dicono solo per circostanza.
- Bene. – Sussurrai. Leo mi spostò i capelli da davanti agli occhi, e cominciò ad accarezzarli, come piaceva a me. Ricambiai lievemente l’abbraccio, allungando le mie mani per circondargli il collo. Ma alla fine ottenni solo una scrollatina, nient’altro. – Beh che sarà mai. Un anno. – Dissi io infine, lasciandomi un po’ trascinare anche dalla situazione. Sorrisi. Oh quanto odiavo sorridere quando dentro di me morivo. Ma non mi andava di lasciare l’Inghilterra infuriata col mondo e con me stessa. La mia vita inglese era la mia vita inglese, adesso dovevo solo scrivere un’altra parte del mio libro. Parte Seconda, Vita Tedesca. Voilà. Facile, semplice. – Berlino, ricordati, Berlino. Non è poi così sconosciuto come nome. Se proprio lo dimentichi, vai su google e cerca “Capitale Germania”, qualche sciocco secchione o qualche laureato in geografia credo abbia scritto la risposta su Yahoo Answer. – Ridacchiò di gusto e io non sarei mai riuscita ad immaginarmi una vita senza il suo sorriso, ma aimè sarebbe dovuta iniziare due giorni dopo. In fin dei conti era già tutto pronto. Zia Jill e zio Greg che mi aspettavo con un sorriso sincero con un cartellino con su scritto “Lily Jean Burton, London” in aeroporto. Sebastian e Bart li a preparare la mia stanza. Magari anche un cagnolino che scodinzola solo per me all’ingresso. Mah, magari mi avrebbero accolto con una festa. O magari solo con un loro abbraccio. Chissà com’era fatta una famiglia vera, me lo chiedevo da quando a 13 anni mio padre finì sotto quel dannato camion. – Credo che tua mamma abbia un’altra crisi di nervi. Ti sta chiamando. – Mi staccai da lui, gli diedi un bacio dolcissimo sulla guancia ed entrai dentro. – Mamma? – Chiesi. Christopher Portland, il nuovo fidanzato di mamma, mi si presentò davanti con un sorriso marcato e un bicchiere di te freddo alla pesca in mano. – Come và Lily? Vuoi un po’?- Mi porse il bicchiere, che io cordialmente rifiutai. Il fidanzato di mamma aveva solo 2 anni in più di lei, ma sembrava molto giovane per la sua età. – Bene Chris, mia mamma mi ha chiamata forse?- Si voltò per vedere dove lei fosse. – Lillian, tesoro! – Dall’alto mia madre strillò un – Tesoro!- Finalmente quella pazza di mia madre scese dalla soffitta e ci raggiunse. Passammo la serata in famiglia, se quella si poteva considerare tale. Si, stavo bene con Chris e mamma, però il vuoto che mio padre aveva lasciato in quella grande casa non so se poteva essere rimpiazzato così facilmente.
Spero vi piaccia, l'ho scritta tempo fà ma non ho avuto tempo per postarla